Il 30 novembre 2010 è crollata a Pompei la Casa del Moralista, domus tra le più importanti, che si affacciava sulla nota via dell’Abbondanza, il decumano principale dell’antica Pompei, contigua alla Schola Armaturarum ceduta di recente.
Solo pochi giorni prima infatti, il 6 dello stesso mese, era rovinosamente caduta anche la Domus dei Gladiatori, un edificio risalente agli ultimi anni di vita della città romana, prima che l’eruzione del 79 d.C. la seppellisse. A marzo avevamo assistito increduli al crollo di una parte del soffitto della Domus Aurea di Nerone e a maggio al distacco di un pezzo considerevole di malta originale dal Colosseo, rotolato giù da uno degli ambulacri del primo piano, mentre in contemporanea si sbriciolava un’altra parte delle mura Aureliane. La triste elencazione di catastrofi annunciate potrebbe continuare, ma servirebbe solo a rafforzare di pari passo la convinzione degli italiani che l’attuale governo non solo rischia di lasciare nell’incuria e nell’abbandono totale il più grande museo all’aperto del mondo, ma che questo diffuso disinteresse per il settore dei beni culturali rischia di farci perdere preziosissime testimonianze della nostra civiltà, oltre che sicuri investimenti per il futuro. Certo, avremmo bisogno di un governo illuminato, che tenga presente, ad esempio, che in Europa il Pil, Prodotto Interno Lordo, creato dall’industria culturale, è più che doppio di quello del mercato delle auto. E questo solo per fare un esempio.
Dunque, non tagli alla cultura, scarica barili di responsabilità, disinteresse e malcostume generalizzato, ma sostegno alla cultura, restauro, ordinaria manutenzione, valorizzazione, finanziamento, oltre che urgente necessità di individuare modelli concreti finalizzati allo sviluppo di un business culturale sostenibile, fortemente improntato dall’idea di un’impresa e di una economia etiche. Ma è difficile parlare di etica in un Paese che sembra aver dimenticato da tempo la più ordinaria etica delle responsabilità e del buon senso. E infatti, sarà per coincidenza, sarà per una negativa e sfavorevole congiuntura astrale, ma a parte i temuti disastri ambientali, solo nell’ultimo anno si sono verificati una serie non indifferente di tristissimi episodi che hanno visto coinvolto, in vari modi, il settore della cultura. E a pagarne le spese non sono stati solo i beni culturali in quanto tali, artistici, librari, archeologici, etc., ma anche tutti coloro che cercano ostinatamente di aprirsi un varco nel mondo del lavoro, possedendo una formazione umanistica. Zero possibilità nell’insegnamento, scarse quelle nella pubblica amministrazione per l’assoluta rarità dei concorsi banditi, zero finanziamenti a piccoli e medi eventi in epoca di tagli. Il risultato è un numero impressionante di laureati a spasso, senza soldi e, ormai, senza più molte speranze. La temuta crisi ha quindi colpito e travolto un settore, quello artistico, per prassi definito “stagnante”, che la letteratura sull’argomento ci ha insegnato essere in deficit permanente, ma che gli studi scientifici degli ultimi anni ci avevano fatto considerare fonte possibile di risorse, tanto da non dover più pensare al binomio economia e cultura come ad un impossibile ossimoro. Dunque la cultura, se ben utilizzata, può essere altamente produttiva. E se l’Economia, come dicono i testi, è la scienza dei mezzi e non dei fini, bisogna assolutamente coniugare questa sua specificità con il sapere in generale e con l’arte in particolare, eccellenza precipua del nostro Paese, abbracciando le peculiarità del settore.
In Italia per incentivare le aziende era stata proposta ed utilizzata la leva fiscale che rappresenta ancora una opportunità di grande interesse. Ma nonostante alcune convenienti agevolazioni come le erogazioni liberali (che poi sono sinonimo di mecenatismo delle imprese private) e la destinazione del 5×1000 (detratto dall’Irpef) lo Stato sembra ancora non fare abbastanza a proposito della defiscalizzazione delle imprese e più in generale dei privati, così poco motivati a sostenere grandi eventi. Ma l’idea di mecenatismo, appena varcato il terzo millennio, risulta già superata. Nella società attuale il sostegno alla cultura diventa una operazione altamente strategica e fortemente qualificante, vista proprio la natura “meritoria” dei beni culturali. Lo sforzo da sostenere deve essere in direzione della possibilità di creare una nuova filiera del valore, la cui competitività non sia solo legata a fattori di costo. E’ assolutamente necessario investire nelle capacità di creazione simbolica, vero tesoro di questi anni, e nella produzione di contenuti di alta qualità scientifica per determinare con fermezza ciò che sappiamo da tempo e cioè che la cultura non è un settore marginale del nostro sistema socio-economico, anche se le politiche pubbliche, soprattutto per quanto riguarda l’allocazione delle risorse, sembrano denunciare una situazione di fatto completamente opposta. Complice, naturalmente, il grave periodo di crisi finanziaria e di recessione economica globale che stiamo vivendo. Ed è proprio il comparto della cultura a pagare pesantemente il prezzo delle difficoltà contingenti. Un segno evidente di quanto ancora sia sottovalutata la dimensione culturale del nostro Paese. E di quanto siamo ancora schiavi della giostra domanda-offerta che non ci lascia respirare, nè pensare, per compiacere un mercato sempre più voluttuario ed asfissiante, in cui c’è davvero poca voglia di fare buona cultura.