Si conclude a fine gennaio, alla Strozzina di Firenze, una mostra a cura di Franziska Nori e Barbara Dawson, in cui cinque artisti contemporanei, Djurberg, Sassolino, Ghenie, Shiota e Soltau, ispirati dal lavoro di Bacon, hanno indagato il tema dell’esistenza, nel rapporto tra individuo e collettività.
Maestro indiscusso nella rappresentazione lucida e spietata dell’atrocità della sofferenza, come condizione cardine della vita umana, il pittore irlandese Francis Bacon, icona del Novecento, è rappresentato da solo otto dipinti, tutti dedicati alla figura umana ed esposti per la prima volta in Italia. Pioniere della cosiddetta Nuova Figurazione inglese, una sorta di interpretazione più esistenziale del Surrealismo, impegnata a riflettere sulla vera essenza dell’uomo contemporaneo, dilaniato dagli orrori della seconda guerra mondiale, Bacon rappresenta uomini straziati, prigionieri senza via d’uscita, detenuti senza speranze di una realtà distruttrice e spietata in cui si riflette la tragedia della sconfitta di qualsiasi progetto razionalista, nonché il trionfo degli egoismi individuali. E al suo lavoro si ispira quello dei cinque artisti presenti in mostra. Il percorso comincia con Nathalie Djurberg, che realizza storie/film con una tecnica di ripresa detta stop-motion. Si tratta di inquietanti personaggi realizzati in plastilina che vengono fotografati dopo essere stati messi in posa e poi, di volta in volta, leggermente spostati, in modo da ottenere l’impressione del movimento attraverso la sequenza filmica. I corpi, elaborati fino alla caricatura, anche nelle connotazioni sessuali più esplicite, rivelano una vulnerabilità insospettata e permettono all’artista di spostarsi, all’interno delle scene, come sulla superficie di una tela. Il rumeno Adrian Ghenie lavora sul potere delle immagini, attingendo da diverse fonti rielaborate e spesso rese irriconoscibili, decontestualizzate. I temi dei suoi dipinti, che richiedono una lunga e complessa decodificazione, appartengono ad un immaginario collettivo condiviso, in particolare alla storia europea del XX secolo. Il percorso espositivo procede con l’installazione site specific dell’italiano Arcangelo Sassolino. Dell’artista-ingegnere scrive la Nori: “Il suo lavoro si contraddistingue per la capacità di creare potenti forme, oggetti e sistemi meccanici che rifuggono qualsiasi concessione narrativa, ma creano le condizioni per metterci di fronte ad una esperienza esistenziale.” Altrettanto rappresentativo è il percorso della giapponese Chiharu Shiota. L’artista, lavorando per vari giorni nell’area espositiva come in una performance chiusa al pubblico, ha tessuto una rete inestricabile con un filo nero, quasi una tela di ragno che prolunga l’essenza del suo corpo. Allieva di Marina Abramovic durante gli anni ‘90, Shiota si cimenta nella produzione di installazioni che assorbono lo spazio circostante come per nutrirsene. Talvolta sottrae alla quotidianità oggetti d’uso comune, in questo caso antiche porte di Palazzo Strozzi, nel tentativo di conferire “nuove densità ad uno spazio in cui il tempo sembra fermarsi e coagularsi, facendo emergere connessioni nascoste, dimenticate o solo immaginate”, scrive ancora Franziska Nori. Infine, anche il lavoro di Annegret Soltau, profondamente diverso, si concentra sul corpo umano. La sua minimale sobrietà compositiva contrasta con la violenza finale delle opere. “Ferite, costrizioni, frammentazioni di volti e corpi diventano – afferma ancora la curatrice – “strumento di riflessione sulla propria persona, per poi acquistare un valore più ampio e simbolico sulla figura umana in sé.” Un percorso espositivo stimolante e claustrofobico. Cinque modalità differenti ed eterogenee di affrontare la stessa scottante problematica: la condizione esistenziale dell’essere umano reinterpretata sulla scia di un gigante dell’arte del Novecento, Francis Bacon.