Fiona Tan è un’artista rappresentativa dei nostri tempi che porta sulle spalle una storia personale molto complessa. Capace di analizzare ed interpretare il problema dello scorrere del tempo in modo assolutamente originale, la Tan elabora profondamente il concetto di memoria, grazie all’emersione del ricordo. Organizzata visivamente e poi contestualizzata artisticamente in un sapiente apparato creativo, la memoria storica rivive in ogni opera, grazie anche ad un sapiente ed elegante uso della tecnologia.
Nata nel 1966 a Pekanbaru in Indonesia, da padre cinese e madre australiana, Fiona Tan intraprende un viaggio che ha come punto di partenza Roma e come destinazione mete inaspettate. Così è nato il video Inventory per il MAXXI. Girato interamente a Londra, nella casa museo di Sir John Soane (1753-1837), Inventory viene qui esposto in prima mondiale assoluta. L’artista realizza il video con sei videocamere diverse. Considerando tema centrale di quest’opera proprio gli strumenti tecnici, l’evento riflette sul concetto di traduzione e sulla fugacità delle nostre percezioni. Il legame tra Piranesi, Bentham e Soane costituisce parte della riflessione di Fiona Tan sui concetti che esplora con il suo lavoro, come quelli di tempo, memoria, identità culturale, rapporto con lo spazio. In occasione della mostra (27 marzo – 8 settembre 2013) abbiamo incontrato la curatrice, Monia Trombetta, a cui abbiamo rivolto alcune domande.
– Chi è Fiona Tan nel panorama artistico attuale?
Fiona Tan è un’artista che lavora a livello internazionale da circa 15 anni. Quando nel 2009 realizza il Padiglione Olandese alla Biennale d’Arte di Venezia, il suo lavoro è già molto conosciuto e ha già partecipato ad una precedente Biennale (2001), a Documenta Kassel (2002), alla Biennale di Instambul (2003) ed esposto il suo lavoro in una personale alla Tate Modern (Time Zones 2004). La sua ferrea disciplina sul lavoro, la passione, il profondo studio dei temi di cui si nutre la sua poetica, l’hanno portata oggi a presentare un’opera come Inventory al MAXXI di Roma. Un lavoro che da una parte rivela la fedeltà alle sue aree di ricerca, dall’altra il progressivo sviluppo dell’analisi dei suoi mezzi espressivi. Soggettività e osservazione oggettiva restano costantemente i due poli all’interno dei quali si muove la sua ricerca. L’artista arriva al MAXXI dopo Rise and Fall, una importante mostra realizzata nel 2011 alla Arthur M. Sackler di Washington, DC e dopo la mostra Disorient alla Galleria di Arte Moderna di Glasgow.
- Mi racconta in breve i suoi inizi? Come ha cominciato?
Fiona Tan è nata a Pekanbaru in Indonesia. È cresciuta a Melbourne in Australia, ma oggi vive in Olanda e a tutti gli effetti si considera un’artista olandese. La sua storia personale e l’analisi delle sue origini costituiscono sin dall’inizio un forte stimolo creativo. I suoi primi lavori, come May you live in interesting times (1995 – 97), un documentario in cui racconta il suo viaggio per conoscere tutti i parenti cinesi in giro per il mondo, ne sono una chiara testimonianza. Ma in genere tutti i suoi primi lavori contengono già in nuce i temi che svilupperà nel corso degli anni. L’interesse per il “punto di vista occidentale sull’Oriente” che troviamo in Tuareg del 2000, che mostra scene di bambini Tuareg di un clan Berbero del Sahara, torna prepotente in Disorient, il lavoro che la Tan porta al padiglione Olandese della Biennale di Venezia del 2009, un lavoro che partendo dai diari di viaggio di Marco Polo denuncia la visione distorta dell’occidente nel giudicare le culture orientali. Ancora in Countenance , il lavoro che Fiona Tan presenta a Documenta di Kassel nel 2001, l’artista ritrae oltre 200 berlinesi: in questa modalità, che l’artista definisce “da biologo amatoriale del XIX secolo”, ritroviamo una delle caratteristiche di Correction (2004), in cui l’artista ritrae oltre 300 detenuti e carcerieri di 4 carceri americani. Sia Disorient che Correction sono lavori che saranno esposti al MAXXI nel corso dell’attuale mostra.
- Quando pensa abbia capito di essere diventata un’artista?
A questo non posso proprio rispondere! Posso semplicemente dire di essere felice che Fiona Tan abbia fatto questa scelta.
– Quali sono le fonti principali del suo linguaggio? Al di là degli spunti provenienti dalla sua storia personale e dal suo modo scientifico di procedere all’analisi delle cose, di cui ho già detto, una caratteristica del lavoro della Tan è il suo profondo legame con la cultura del passato. Il fatto di essere attratta da temi come quello della memoria, del tempo, dell’identità culturale, l’ha portata a studiare come una storica o un’antropologa. I lavori esposti al MAXXI hanno dei riferimenti specifici dichiarati dall’artista stessa: Jeremy Bentham (1748-1832), Giovan Battista Piranesi (1720-1778) e Marco Polo (1254-1324) ma la sua ricerca ha un’infinità di riferimenti culturali, tra cui Walter Benjamin, Umberto Eco, Paul Valéry e se ne potrebbero citare altri ancora.
– Quale è il suo legame con la memoria, il passato, gli archivi, la storia?
Non saprei esattamente dire quale è il suo personale legame con il passato e con la storia. Bisognerebbe chiederlo a lei. Quello che posso dire è che questi temi sono pregevolmente espressi e approfonditi nel suo ultimo lavoro ed in generale nel progetto di mostra per il MAXXI.
– Ci sono artisti/registi che hanno influenzato il suo lavoro?
In una conversazione nel suo studio, a proposito del progetto di allestimento per gli spazi del MAXXI, Fiona ha esplicitamente fatto riferimento a Dogville, diretto da Lars von Trier. Il film realizzato nel 2003 presenta un’immaginaria città di Dogville senza costruzioni architettoniche, come un palcoscenico vuoto, in cui su un pavimento verde le strade e i confini delle case sono tracciate con strisce bianche. Le divisioni architettoniche sono invisibili, così come nell’allestimento della Galleria 5 che presenta i lavori di Fiona Tan senza divisioni e pannelli, in un allestimento aperto che rende fruibili le opere in un dialogo puro con l’architettura, ne garantisce l’integrità di ciascuna e la concentrazione necessaria per la fruizione. La scelta di non realizzare divisioni architettoniche lascia alle opere di Fiona Tan il compito di creare ambienti, spazi e connessioni.
– In che direzione sta andando oggi la sua ricerca?
Verso l’approfondimento di tutto quello di cui ho appena detto, con estrema coerenza e appropriatezza.
– Quale è l’importanza di questo suo ultimo lavoro?
Dagli anni Novanta Fiona Tan crea una serie di opere accomunate dall’interesse per la memoria, la storia e l’identità, individuali e collettive. Con Inventory l’artista ritorna su questi temi concentrandosi sul patrimonio lasciataci da Sir John Soane, che era a sua volta molto interessato al trascorrere del tempo e alla caducità umana. Fiona Tan palesa il proprio interesse nei confronti della continua ricerca da parte dell’uomo di rendere perenne la transitorietà della vita stessa.