Promossa e organizzata dalla Fondazione omonima e dell’azienda speciale Palaexpo e allestita al piano nobile di Palazzo delle Esposizioni, per un totale di 2mila metri quadrati circa, la sedicesima edizione della Quadriennale sì è da poco conclusa a Roma, con un’esposizione di 150 opere. Suddivisa in 10 sezioni ideate da 11 curatori per 99 artisti, le opere sono tutte recenti, molte realizzate per l’occasione. Il percorso, a partire dalla Rotonda centrale, è stato animato da performance, incontri, proiezioni ed il visitatore ha potuto iniziare la propria esperienza da una qualunque delle sezioni espositive.
Concepita come una mappatura mutevole delle produzioni artistiche e culturali dell’Italia contemporanea dopo il 2000, ognuna delle dieci sezioni espositive approfondisce un tema, un metodo, un’attitudine, una genealogia che connota i progetti artistici. La dimensione policentrica suggerisce una vera e propria esperienza coinvolgente, ricca di numerosi spunti e rimandi che il fruitore coglierà nel suo percorso. Diverse sono le chiavi di lettura che emergono dalle unità espositive: quella della storia come cardine per capire il contemporaneo (Luca Lo Pinto), quello della democrazia in America (Luigi Fassi), il senso della comunità e delle relazioni interpersonali, la ricerca di nuovi spazi dove ripensare le regole del nostro vivere quotidiano, il riutilizzo di materiali come pratica primigenia di rigenerazione, la ritrattistica come linguaggio tramite cui attraversare le vicende più recenti della nostra arte (Michele D’Aurizio), e quella più “virtuale”, nella sezione”Cyphoria”, (Domenico Quaranta) che analizza l’impatto dei media digitali sui vari aspetti della vita, dell’esperienza, dell’immaginazione e del racconto. Proprio qui, infatti, nella quarta sala, gli schermi rovesciati sottosopra da Eva e Franco Mattes fanno da punteggiatura ai tanti lavori in mostra, tra cui si notano le riconoscibili installazioni di Alterazioni Video e di Marco Strappato, così come i colorati acrilici con foglia d’oro, plexiglas e led di Federico Solmi. Campeggia su tutte le opere della sala, il Laocoonte di Davide Quayola, artista e performer italiano con base a Londra, under 35, che parte da un clone 3d della scultura per sviluppare le conseguenze estetiche della sua digitalizzazione, che da solido artefatto e da capolavoro immutabile, diventa un oggetto che può essere sottoposto alle più audaci variazioni, strizzando l’occhiolino al noto Atlante michelangiolesco, schiacciato dal blocco marmoreo “non finito”.
Interminabile la lista degli artisti presenti, molti già noti al grande pubblico: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Rä Di Martino, Emilio Villa, Marcello Maloberti, Paolo Gioli, Giulia Piscitelli, Diego Tonus, Luca Vitone, Rosa Barba, Claire Fontaine, Margherita Moscardini, Sara Tirelli, Carol Rama, Nicola Samorì con il suo interessante Martire che si sveste, Gianfranco Baruchello e molti, molti altri ancora.
La Quadriennale, che quest’anno ha avuto pure la sua prima presentazione fuori dai confini nazionali (presso l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino) si è dunque conclusa da poco e nonostante gli otto anni precedenti di buio, che ne avevano minacciato la sopravvivenza. Dotata di modelli organizzativi innovativi, basati su progettualità condivise e sostenibili, ci ha invitato tutti ad “ascoltare” quello che l’arte ha ancora da dirci. Le opere, pur mantenendo una propria autonomia, hanno dialogato per offrire una visione il più possibile unitaria della nostra scena artistica e per resistere più energicamente a codificazioni identitarie. L’evento ha avuto un grande riscontro di pubblico, tanti visitatori, ed un respiro decisamente internazionale.