Ci sono opere che scappano dai musei e dalle mostre, andando alla ricerca di luoghi anomali nei quali apparire. Ci sono opere che non rappresentano categorie, perché non si può rappresentare l’intangibile e poi ci sono opere che descrivono esperienze spazio-temporali mutevoli come il tempo. E’ questo è il caso dei lavori di Andrea Famà, classe 1988, catanese di origine. Artista poliedrico e appassionato scultore. Le sue narrazioni ci avvicinano allo spirito poetico delle cose, che riesce a scandagliare per scoprirne l’essenza, oltre limiti e confini.
Il suo è il lavoro di chi non ha mai smesso di interrogarsi sul significato delle cose e dell’arte e le sue opere sono portatrici di messaggi segreti, quasi lettere di un alfabeto ignoto. Alla ricerca perenne di materiali che esprimano al meglio i concetti su cui lavora, Andrea affronta gesso, marmo, canapa, terracotta, plastica, cemento, rivelando una vocazione profetica che tradisce l’identità siciliana, quasi orientale, che lo caratterizza. Nel suo universo astratto non ci sono oggetti, né esseri viventi, né colori o sfumature. Nessuna immagine riconoscibile o riconducibile ad una realtà certa e rassicurante. Solo materia nuda che non pone limiti alla rappresentazione. Materiali che chiedono di essere considerati per il significato intrinseco che portano, oltre che per i connaturati aspetti sensoriali. Ma l’economia delle forme non deve ingannare. Qui il concetto di scultura è stato ampliato tanto da diventare non solo riduzione all’essenziale, tipica delle strutture minimali, ma forma poliedrica che aspira a liberarsi da se stessa. E’ una scultura che diventa installazione perché occupa uno spazio percorribile, in cui si incarna sempre un pensiero. Opere inserite nel flusso incessante di connessioni globali. “Monumenti eretti a celebrare un tempo presente, fondato sull’immediatezza e sull’accumulo dell’istante.” (1) Se da una parte occhieggia, forse inconsapevole, all’arte Informale, rifiutando qualsiasi forma, figurativa o astratta, costruita secondo canoni razionali e rapportabili alla tradizione culturale precedente, dall’altra azzarda un meta linguaggio in cui persino i vuoti diventano spazi di silenzio, ma non silenti e dunque parte dell’intero allestimento. Insomma, Andrea Famà è una giovane promessa che fa venire voglia di scommettere sul suo lavoro. Del resto, scrive Melania Mazzucco a proposito di Kandinskij, cosa altro è la vita se non perenne ricerca, movimento, esperienza, conoscenza ed accrescimento di sé?
(1) Massimiliano Gioni, in Fabio Cavallucci (a cura di), Post monument, catalogo della Biennale di Carrara, Silvana, Milano, 2010.