Il 20 febbraio scorso si è inaugurato Skin Taste, il progetto a cura di Adriana Rispoli, giunto ormai alla quinta edizione, che dal 2013 qualifica la facciata di oltre 250 metri quadrati del Porto Fluviale, assegnando ogni anno ad un artista il compito di creare una grande opera site-specific, in carta da manifesto. E in questa circostanza ho incontrato Danilo Bucchi. Non lo intervistavo da parecchi anni e dunque è stata una bella occasione per ricordare gli esordi e parlare di progetti futuri.
Non
ti facevo una intervista più o meno dal 2008, dal tempo di quelle meravigliose
e inquietanti bambole- ritratto di ascendenza beconiana… cosa è cambiato da
allora?
In termini lavorativi sono successe tante cose, dieci anni
sono tanti da raccontare, non saprei neanche da dove cominciare….
Da allora posso dire di aver portato avanti una ricerca in
termini di forma espressiva, il mio alfabeto grafico è più completo. Ho anche
una maggiore consapevolezza artistica ed un approccio più maturo riguardo le
scelte.
Quanto
è evoluto il tuo specialissimo segno grafico? Questo codice formale dominato
dalla linea curva che ormai ti contraddistingue e, nello stesso tempo, ti rende
riconoscibile tra tutti?
Se guardo al passato trovo una grande evoluzione sia stilistica che tecnica. Potrei dire che il mio “segno” è direttamente proporzionale al mio vissuto, matura con me, nel bene e nel male, fino a cambiare in una forma apparentemente simile che ricorda se stessa in alcune linee mai uguali. Il mio avanzare negli anni dona una nuova vita alla mia pittura, “lei” si nutre del tempo. E’ l’inevitabile processo dell’immortalità dell’opera .
Cos’è
Skin Taste?
Skin Taste è una sorta di festival che organizza Adriana Rispoli e che ogni
anno cambia pelle. E’ uno spazio che in realtà nasce come spazio pubblicitario,
ma invece di reclamizzare oggetti, è stato pensato per l’arte. L’arte intesa
come arte da galleria, quindi non ci sono streetartist ad animarlo, ma artisti
di galleria che presentano la loro opera
e la presentano così come se fosse una mostra. Ti spiego questo perché, quando
lavori su situazioni urbane, molto spesso ti scontri con l’approvazione
dell’opera, va bene, non va bene… invece qui non è stato cambiato nessun
bozzetto per essere adattato allo spazio a disposizione. Per esempio il rosso è
molto difficile, non è facile mettere il rosso….
Infatti,
ti stavo chiedendo: qual è la tecnica utilizzata?
Prima ho lavorato su un bozzetto in scala, poi lo abbiamo scannerizzato e
ingrandito. Striscia per striscia è stato fatto questo effetto monitor, lucido.
E’ bello, ti piace? In realtà il progetto viene fatto su carta a tutti gli
effetti. Non è un’opera murale, è un’opera temporanea.
Quindi
quale sarà la sua durata?
L’opera dura fino al prossimo Skin Taste e al prossimo artista.
Tu
conserverai questo originale o lo conserva chi ha promosso l’iniziativa? E se
si rovina, che si fa?
No, no. Se si rovina una parte non è un problema: l’originale viene
stampato in duplice o triplice copia. Se si rompe o strappa una parte la
sostituiscono fino a che dura l’evento…
Non
ti ho mai chiesto chi sono i tuoi maestri: a chi ti sei ispirato o ti ispiri
ancora?
I miei maestri sono stati tanti, vengo da studi accademici e
tra i tanti esercizi pittorici c’era il compito di copiare proprio gli artisti
che ti ispiravano. Un percorso utile che aiuta a capire la propria strada
arrivando ad una propria identità espressiva
e ad un codice stilistico specifico. Sicuramente quello che mi ha ispirato di
più da ragazzo è stato Mario Schifano, libertà espressiva e sintesi formale sono il suo grande
insegnamento. Gli acquerelli di Clemente, le linee di Antony Gormley, i volumi
di Kapoor, la decostruttivista Zaha Hadid, l’eleganza di Twombly, i contrasti
di Jacob Aue Sobol, il pioniere Bresson, il pensiero di Marinetti,
l’espressionismo di Pollock, l’ultimo nero di Rothko, lo struggente Modigliani,
Picasso, Giacometti, l’immenso Turner, la follia di Goya, l’inarrivabile
Michelangelo, il genio di Leonardo. Potrei continuare per molte righe ancora e ancora…..
Quanto
ti piace l’idea di un’arte di strada che sia accessibile a tutti? E dunque così
facilmente riproducibile?
Un’opera per essere capita, assorbita dal suo fruitore, presuppone un certo tempo di osservazione e di concentrazione appositamente dedicata. Il numero di persone che fanno questo equivale più o meno allo stesso pubblico che si interessa davvero di arte, che frequenta musei, gallerie, teatri e cultura a tutto tondo. Per questo non credo che l’arte sia per tutti, tanto più quella di strada soggetta a mille distrazioni. L’arte, come tutto nella vita, raccoglie un numero chiuso di persone “veramente interessate”, che non equivale a “tutti”. La sua accessibilità non è così ovvia e la sua riproducibilità è alquanto effimera.
Quali
i tuoi prossimi progetti?
Ad aprile sarò in mostra alla Galleria Nazionale d’Arte
Moderna con un grande progetto a cura di Achille Bonito Oliva e della 2RC
gallery. Sto per concludere un progetto installativo/editoriale sul ritratto
che porto avanti dal 2015.
Paesaggio sospettato, titolo di questa ultima fatica di Bucchi, ci introduce in una dimensione alternativa, in cui la figurazione, o meglio la semi-astrazione non geometrica, sembra fiorire spontanea dallo spazio bianco, vuoto, vertiginoso. Inutile il tentativo di classificarlo in uno stile preciso. Anni fa scrivevo del suo lavoro: “Dal groviglio dei segni emerge prepotente il desiderio di ordinare il tutto in una sembianza umana: una donna, un profilo, un volto. Sagome confuse, ma distinte che si ergono a fatica dalla massa incorporea da cui si originano, per esternare forse una autonoma esigenza di comunicazione.” Oggi credo non sia più necessario tentare di classificare le sue opere, perché non è necessario archiviarle in quanto finite o esaurite nella loro carica espressiva. Il modus operandi di Danilo sceglie piuttosto una azione frammentaria, senza orientamento, né evidente direzione. Si assiste ad un fenomeno atemporale in cui azione e contemplazione si mischiano per creare uno spazio onirico nel quale avviene la creazione, grazie ad una sorta di automatismo che conduce la sua mano in un gesto inarticolato, che potrebbe anche non limitarsi a qualificare la sola superficie. Insomma, in Bucchi l’arte sopravvive perché esigenza ancestrale, oltre ogni declinazione ideologica e trasmutabilità di contenuti, in un non-tempo scandito per sempre dal soffio dell’eternità.