La Puglia non è solo un luogo geografico, una regione del sud Italia, una terra tra i mari. La Puglia è la terra d’origine, è l’origine nel senso più arcano del termine. L’inizio di una storia d’amore uguale a tante altre, ma speciale nella sua specifica connotazione. L’amore viscerale tra una pittrice e i suoi luoghi natali, gli stessi dell’infanzia e poi della maturità. Conosco Bice Perrini all’incirca dal 1987, ne ho apprezzato e seguito la carriera fino a qui, sempre a Bari, ma non solo, da cui tutto ha avuto inizio. Allora giovane studentessa dell’Accademia, oggi artista poliedrica e conosciuta.
Numerose le iniziative che l’hanno vista partecipe negli anni, dalle esposizioni personali a quelle collettive, in Italia e all’estero, in continuo mutamento e crescita. Dalla tela solo apparentemente bidimensionale alla performance, Bice vive immersa nei colori, spesso utilizzati puri, spremuti direttamente dal tubetto, a corpo, con spessore, oppure dilavati fino a lasciare intravedere trama e ordito sottostanti.
La materia sembra destrutturata, scandita solo dal veloce fluire del pennello, spesso dalle dita della mano. L’elemento dinamico è per lei una costante che investe l’intera poetica espressiva. E in questo corpo a corpo con la materia, Perrini crea spazi di silenzio, ma non silenti, in cui la figura umana sembra quasi completamente assente o solo presente come parte di un tutto. Intravedi pezzi di natura, usignoli, foglie, cactus, fiori, simboli di una terra amata e mai perduta che rivive costante come una giungla interiore, in un caos solo apparente, in cui le rare e riconoscibili immagini diventano elementi sacri per pensare e fantasticare, abbandonandosi alla possibilità di stabilire connessioni.
L’atto creativo sembra perennemente in bilico tra memoria antica e storia presente. Una storia felice che trasuda energia, pienezza, calore, una sorta di joie de vivre, come si diceva per Renoir o per Matisse. E poi c’è il mare. Presente, potente, salvifico, che impetuoso sembra volerti travolgere e che invece si fa attraversare, diventando spazio vitale, acqua attorno alla sua terra d’origine. Se socchiudi gli occhi, ti sembra di poterne ascoltare il rumore, lo sciabordio sull’arenile, come una musica o come una vertigine che ti travolge e ti ipnotizza, attirandoti al centro dell’opera.
Il percorso espositivo ideato per la galleria Up Urban Prospective Factory a Roma, dal 25 novembre al 1 dicembre 2023, vuole dunque condurci per mano nelle viscere di questo fantastico mondo, conquistarci come fossimo dentro una fragorosa polifonia visiva.
L’obiettivo della mostra è di creare dirette congiunzioni tra le opere, in modo da far sì che lo spettatore si metta in relazione con spazi interiori che consentano una immersione nella dimensione estetica ed emotiva di ciascuno. E questo certamente avviene attraverso una grammatica pittorica malleabile e giustapposta, in grado anche di assumere forme incoerenti. Si tratta di una sorta di scrittura automatica e famelica che prova a fagocitare ogni tipo di figura, purché resti in relazione con il mondo circostante.
Non parliamo di pittura da intrattenimento, ma di pittura pura che ripropone una serie pressoché infinita di temi e figure, investigando il rapporto tra superfici esterne ed interne, in un originalissimo gioco di effetti cromatici e visivi. L’artista scarnifica la forma a favore dell’impetuosità del colore, oltre i confini della tela stessa, nel tentativo di denudare l’impalcatura che la sorregge.
Il risultato è sorprendente, diverso e nuovo tutte le volte, ma sempre intento a valorizzare quel genius loci soprannaturale, che si aggira malandrino tra le opere, entra ed esce mai pago e sembra volerci ricordare che non ci si deve liberare delle proprie origini, ma piuttosto lottare per mantenerle, riscoprendo quel legame tra identità e manualità che rende così feconda la produzione artistica di Bice Perrini.